201812.04
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Omissis…”Con la sentenza in oggetto il Tribunale di Roma, in accoglimento dei ricorsi proposti da xxx (e riuniti in corso di causa), ha revocato l’avviso bonario del 25.7.2011 emesso dall’xxx e la precedente comunicazione del maggio 2011, nonché l’avviso di addebito n. 397 2012 00149627 17 000, previo accertamento della loro illegittimità; ha condannato, altresì, xxx alla cancellazione del nominativo del xxx dalla gestione commercianti e dichiarato la prescrizione del diritto dell’Istituto a pretendere il versamento dei contributi per il periodo gennaio 2005/aprile 2006.

Si premette che nei ricorsi introduttivi il ricorrente aveva dedotto che gli era stato notificato il 25.7.2011 avviso bonario, con il quale veniva richiesto il pagamento della prima rata dei contributi (relativi alla gestione commercianti) a quota fissa, o sul minimale, per il periodo 1/2001–12/2011; che tale avviso bonario faceva seguito ad altra precedente comunicazione del maggio 2011, con la quale l’xxx aveva richiesto il versamento dei contributi per il periodo ottobre 2005/dicembre 2011; che in data 12.10.2012 l’xxx gli notificava, altresì, un avviso di addebito con il quale richiedeva il pagamento dei contributi IVS fissi per il periodo dal 1/2005 al 12/2011; di essere socio accomandatario della “xxxx e che la società aveva stipulato in data 12.10.2005 e con decorrenza dal 1.11.2005, un contratto di affitto di azienda (che prevedeva la corresponsione di un canone annuo di € 36.000,00 + IVA); che a seguito della stipula di tale contratto la società presentava al comune di Roma comunicazione di cessazione di attività a decorrere dal 31.10.2005; che successivamente a tale data non aveva svolto alcuna attività commerciale e che gli unici redditi conseguiti dalla società erano quelli relativi al canone di affitto percepito (come da Modelli Unici della società in atti); che, altresì, successivamente al 31.10.2005 gli unici rediti dallo stesso conseguiti erano quelli corrispondenti alla sua quota per l’affitto dell’azienda della società (come da Modelli Unici in atti); che, conseguentemente, non sussistevano i requisiti di cui all’art. 1, comma 203, della L. n. 662/1996 per la sua iscrizione nella gestione commercianti per il periodo ottobre 2005/dicembre 2011, non avendo il medesimo svolto nel predetto periodo alcuna attività commerciale; che, altresì, era prescritto il diritto dell’xxx a richiedere i contributi relativi al periodo gennaio 2005/aprile 2006, tenuto conto che l’Istituto aveva richiesto per la prima volta tali contributi nel mese di maggio 2011.

Il Tribunale ha accolto le domande, evidenziando che il xxx non aveva dimostrato che il xxx aveva partecipato all’attività aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, quale presupposto dell’obbligo assicurativo.

Ha poi rilevato come quest’ultimo aveva documentato i fatti rappresentati in ricorso, vale a dire l’avvenuta stipula da parte della “xxx” (di cui il xxx era socio accomandatario) di un contratto di affitto di azienda con la xxx in data 12.10.2005 e la presentazione da parte della società della comunicazione di cessazione dei attività al Comune di Roma, a decorrere dal 31.10.2005.

Ha ritenuto, infine, prescritto il credito azionato dall’xxx quanto al periodo gennaio 2005/aprile 2006, tenuto conto che la richiesta di pagamento dell’Istituto era stata notificata in data 12.10.2012.

Avverso la sentenza ha proposto appello l’xxx per i seguenti motivi:

– erroneità della sentenza per non avere il Tribunale esaminato la copia delle dichiarazioni dei redditi della società “xxx.”, nelle quali era stato dichiarato che il xxx era socio che prestava attività prevalente (quadro RK), nonché delle dichiarazioni dei redditi del xxx, nelle quali pure veniva indicata l’attività dello stesso quale prevalente;

-erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato prescritto il credito, tenuto conto che l’Istituto già con comunicazione del maggio 2011 e con avviso bonario del 25.7.2011 aveva richiesto il pagamento della contribuzione;

-erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado ha condannato l’Istituto alla cancellazione del ricorrente dalla Gestione commercianti, tenuto conto che ai sensi della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, il giudice ordinario non può condannare la pubblica amministrazione ad eseguire una prestazione di fare o di non fare.

Si è costituito xxx chiedendo il rigetto dell’appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello non merita accoglimento per le ragioni che seguono.

Si premette che l’art. 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996 dispone che:

“L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attivita’ commerciali di cui alla legge 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:

  1. siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
  1. abbiano la piena responsabilita’ dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non e’ richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonche’ per i soci di societa’ a responsabilita’ limitata;
  1. partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualita’ e prevalenza;
  1. siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”.

Presupposto dell’iscrizione alla suddetta gestione è, quindi, che vi sia un esercizio commerciale e che la gestione dello stesso avvenga – da parte del titolare o del familiare coadiuvante o dal socio – con carattere di abitualità e prevalenza.

Nel caso di specie rileva il Collegio come la documentazione in atti, come correttamente ritenuto dal Tribunale, esclude che l’odierno appellato abbia svolto, a partire dal 31.10.2005 e in maniera abituale e prevalente, attività commerciale, quale socio della “xxx”, tenuto conto che emerge per tabulas che la suddetta società ha affittato a terzi dal 1.11.2005 l’azienda commerciale di cui era proprietaria (v. contratto di affitto di azienda in atti), comunicando altresì al comune di xxx in data 1.12.2005 la cessazione della propria attività.

Né può sostenersi, come ritenuto dall’Istituto, che i presupposti dell’iscrizione possano ricavarsi dalla circostanza che la società ha dichiarato, nella propria dichiarazione dei redditi, quale prevalente l’attività svolta dal xxx (o che quest’ultimo abbia dichiarato come prevalente la propria attività nella propria dichiarazione dei redditi).

Deve, invero, in primo luogo evidenziarsi l’irrilevanza degli elementi di carattere fiscale, dai quali non può desumersi l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, non avendo gli stessi rilevo sul piano previdenziale (v. Cass. ord. n. 3145 del 2013).

Nella suddetta pronuncia la Suprema Corte ha, altresì, rilevato, in fattispecie analoga a quella in oggetto, come qualora una società abbia affittato a terzi la propria azienda (nel caso all’esame della Suprema Corte si trattava di un albergo), limitando la propria attività a quella di riscossione dei canoni di affitto, va esclusa la ricorrenza dell’attività a cui la legge ricollega l’obbligo di iscrizione e il versamento di contribuzione alla gestione commercianti, a prescindere da ogni considerazione sull’attività prevalente.

L’odierno appellato ha, in particolare, precisato come i redditi dallo stesso conseguiti ed indicati nelle proprie dichiarazioni fiscali a partire dal 2006 erano relativi alla sola quota al medesimo spettante per l’affitto dell’azienda.

Lo stesso, sentito in primo grado all’udienza dell’11.7.2013, ha poi precisato di aver sottoscritto la dichiarazione dei redditi compilata dal commercialista e di non aver dato rilevanza alla crocetta relativa alla prevalente attività, ritenendo che tale prevalenza si riferisse al reddito dallo stesso percepito e non all’attività (che, in ogni caso, non poteva più essere svolta dalla società, a causa della avvenuta riconsegna delle licenze).

Infondato, quindi, è il primo motivo di censura formulato dall’xxx, non sussistendo, nel caso di specie, i presupposti per l’iscrizione del xxx nella gestione commercianti a far tempo dal 31.10.2005, difettando lo svolgimento di ogni attività di carattere commerciale da parte del medesimo, quale socio accomandatario della “xxx” (che aveva cessato di svolgere attività commerciale da tale data).

Quanto, poi, alla intervenuta prescrizione dei residui contributi relativi al periodo gennaio 2005-ottobre 2005 la sentenza impugnata deve essere confermata, tenuto conto che con la comunicazione del maggio 2011 e con l’avviso bonario del 25.7.2011 – invocati dall’Istituto appellante ai fini dell’interruzione dei termini – l’xxx aveva richiesto il pagamento dei contributi per il periodo successivo, laddove i contributi relativi al periodo 1/2005-10/2005 sono stati richiesti solo con l’avviso di addebito notificato il 12.10.2012 (v. documenti in atti).

Neanche merita accoglimento, infine, l’ultima doglianza sollevato dall’Istituto, tenuto conto che nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, il potere del giudice del lavoro di pronunciare condanna ad un facere anche nei confronti delle pubbliche amministrazione non trova ostacolo nella norma, di carattere ordinario e non costituzionale, di cui all’art. 4, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n, 2248 all. E (in tal senso Cass. sent. n. 3325 del 1989).

Ciò in considerazione della natura meramente esecutiva dell’attività svolta dall’xxx in tema di riscossione dei contributi e di iscrizione alla relative gestioni (da effettuarsi in presenza dei presupposti previsti dalla legge), la quale non involge, invero, l’esercizio di alcuna attività amministrativa (v. Cass. sent. n. 965 del 1985 “In tema di contributi previdenziali unificati in agricoltura, la sentenza del giudice ordinario, che afferma il diritto del lavoratore agricolo all’iscrizione negli appositi elenchi nominativi, non implica un’indebita interferenza in funzioni amministrative, ne’ una condanna ad un facere dell’amministrazione, non consentita dall’art. 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, in considerazione della natura meramente esecutiva dell’attività cui resta obbligato, per la concreta attuazione del diritto riconosciuto, l’ente preposto alla tenuta degli indicati elenchi”).

L’appello, conclusivamente, deve essere respinto.

Le spese di lite – liquidate come in dispositivo – seguono la soccombenza; deve darsi altresì atto che sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/2002 per il versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

-Rigetta l’appello;

-Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 3.500,00, oltre spese forfettarie al 15%;

-Dà atto che sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/2002 per il versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione..”omissis .

CORTE DI APPELLO DI ROMA, SECONDA SEZ. LAV. SENTENZA n.3905/2018, INEDITA